VELVET GOLDMINE
di Todd Haynes
Velvet Goldmine è un film del 1998, diretto da Todd Haynes. Tratta la storia del glam rock, inteso come movimento, attraverso le vicende di un ipotetico cantante (Brian Slade, interpretato da Jonathan Rhys Meyers) e velatamente si ispira alla vita di David Bowie, inoltre ci sono dei riferimenti allo stile di vita di Oscar Wilde. Di grande effetto sono i costumi realizzati da Sandy Powell (nominati agli Oscar).
Trama
Attenzione: di seguito viene rivelata, del tutto o in parte, la trama di Velvet Goldmine.
Arthur Stuart (Christian Bale) sta indagando come giornalista, nella Londra del 1984 su Brian Slade, cantante scomparso da giornali e televisione un finto omicidio preparato durante un concerto come trovata pubblicitaria. Durante l'indagine il giornalista ripercorre il periodo di fine anni sessanta della swinging London, la moda del glam rock e il rapporto omosessuale fra Slade e il musicista Curt Wild (Ewan McGregor) che il giornalista stesso adorava nel periodo dell'adolescenza. Brian Slade è ispirato a David Bowie, di cui dovevano essere utilizzate anche le canzoni: Bowie rifiutò dato che programmava di fare un film sulla sua vita da solo. Ci sono pareri discordi su chi abbia ispirato Curt Wild, molti lo ricollegano ad Iggy Pop mentre altri a Kurt Cobain, soprattutto fisicamente, dato che in una scena Ewan McGregor, in studio di registrazione, indossa una maglietta identica ad una indossata dalla star del grunge, anche essa in studio.
da
WikipediaLa prima volta in cui ho visto questo film non sapevo di cosa parlasse, non sapevo né la trama né chi fossero i protagonisti. Me lo avevano consigliato in internet. Così, un bel pomeriggio, mi sono data in serenità e solitudine alla visione del film.
Ne sono rimasta affascinata.
Che si amino o no le storie omosessuali, i personaggi così sfacciatamente ambigui, Velvet Goldmine è un film che prescinde da tutto questo.
Velvet Goldime è un documentario, un’affascinante vetrina di un mondo che noi, e direi purtroppo, non abbiamo vissuto.
Il mondo dei lustrini, del rock vissuto, delle grandi star osannate e criticate, delle star sofferte e combattute dalla triste storia alle spalle.
Tutto questo e altro ancora.
All’inizio VG ci dà come abbaglio il finto protagonista Artur Stuart. Un giornalista chiamato a ricostruire la storia di Brian Slade. La scena si apre piano, difficilmente. Entriamo nella vita di Brian attraverso le diverse persone che hanno avuto a che fare con lui, quindi piccoli flash back che vanno avanti e indietro. All’inizio questo andirivieni destabilizza un po’, ma è una sensazione passeggera.
Ci si abitua presto all’andazzo.
Il primo a parlare è il suo primo manager. Colui che l’ha scoperto a cantare in un locale e ha creduto al suo talento. Nella sua aria da donna malinconica, nel suo essere diva nell’anonimato. Ma non riesce a farlo sfondare. Soprattutto dato che i figli dei fiori seguivano le star che li insultavano ed ignoravano. La star rock era il cantante che azzardava, che rockeggiava con estremismo. Brian, con la sua tunica celeste, la sua canzone triste e la sua aria da ragazzino viene ignorato. Al contrario viene invece osannato Curt Wilde, col suo essere appunto estremo, mentre si spoglia sul palco e attizza incendi.
Memorabile il momento in cui Brian vede Curt per la prima volta sul palco. Uno sguardo che dà il via a ciò che succederà, una finestra sul futuro. Uno sguardo di più completa ammirazione, la devozione che lui non sa ancora avrà per quell’uomo.
Il secondo racconto appartiene alla moglie di Brian, Mandy. Il personaggio con meno orgoglio forse di tutto il film. Diventa una presenza marginale, inutile. Anche se la scena del loro primo incontro, la notte di San Silvestro del 1969, è una delle più belle di tutto il film. Il momento in cui Brian la vede e le canta Ladytron, con quel suo faccino affascinante e immacolato, i flash back della notte di sesso, le scene in una pseudo foresta in cui Brian dovrebbe rappresentare il lupo cattivo che la seduce, ma in realtà resta l’angelo indemoniato a cui non si può resistere.
I use you and I confuse youE Brian confonde sul serio. Quella con sua moglie non la si può paragonare ad una bella storia d’amore, quanto una simpatica collaborazione. Lei c’è sempre, in modo marginale. E quando cerca di andarsene perché capisce, troppo tardi secondo me, di non essere più una presenza necessaria (ma quando lo è stata davvero?), saltella con le sue sgargianti scarpe col tacco su ciò che rimane del suo orgoglio. Alla fine però non si può provare pena per lei.
Tuttavia però, grazie al suo intervento scopriamo pezzi importanti della vita di Brian.
Come il primo vero incontro con Curt, in cui il manager di Slade parla di contratti e collaborazioni, ma tu rimani toccato dal modo in cui Curt dice a Brian “Diventa tu il mio amante fisso”. Ed è amore.
Quella che dovrebbe essere una fruttuosa collaborazione artistica diventa una passionale storia fra i due cantanti.
Ce ne sono di momenti da citare. Come la pseudo conferenza stampa a mò di circo, in cui Curt dice le parole che mi sono rimaste impresse dalla prima visione:
Il mondo è cambiato perché tu sei fatto d’avorio e d’oro. La linea delle tue labbra riscrive la storia.E poi c’è Il Bacio. Un bacio in primo piano interrotto dal flash dei fotografi. Una premeditazione quasi.
Perché loro sono rockstar.
Un’altra scena da commentare è il live di Baby’s on fire. Brian dà sfoggia di se, della sua capigliatura turchese e del suo strambo abbigliamento sul palco, ma il meglio è quando Curt entra. Con i suoi soliti modi da pazzo maniaco, a volte persino ridicolo, comincia a suonare la sua chitarra. Brian lo guarda e gli si avvicina come un serpente, con uno sguardo che… farebbe cadere chiunque ai suoi piedi, consentitemelo. E poi, una volta preso nella sua morsa, mima un fellatio… chitarra di mezzo.. mentre la sua lingua sembra suonare le corde… Il tutto mentre Arthur si masturba pensando ai suoi idoli, e tra i membri dello staff di Slade c’è una bella orgia tutti insieme. Orgia che si conclude, per Brian e Curt, quando i loro sguardi si incrociano (altra scena memorabile) e senza parlare si alzano e si dileguano, appartandosi nella loro camera, da soli.
Uno dei pezzi sicuramente più forti del film, ma sicuramente anche molto forte sotto altri punti di vista. E' da quello sguardo che si capisce quanto loro si amino. Il modo in cui, senza parlare, si capiscono, nascondendosi nel loro mondo fatato. E risvegliandosi la mattina, entrambi nudi e abbracciati.
Ma dura poco. Dura poco perché Curt non è un grande artista, e rischia di portare nel fondo anche la grande stella del glam rock: Brian Slade. Osannato da troppa gente.
Ma la separazione con Curt porta ugualmente Brian nel fondo. E’ lì forse che capisci quanto Brian abbia riposto in lui. Lo capisci da quel cadere in basso, da quella lacrima solitaria che lo accompagna in una splendida scena di ombre. Lo capisci quando lo vedi spiare di nascosto Curt sul palco, mentre lui cerca di nascondersi con un grande cappello (ma è difficile non riconoscere i capelli turchesi).
Il resto è solo un dettaglio, come l’incontro (fisico) tra Arthur e Curt, il mistero sulla finta morte sul palco di Brian, il non sapere che fine abbia fatto a distanza di un decennio. La fine di Brian la vediamo nella partenza di Curt. Lì, lui finisce come uomo e come artista.
Come dicevo all’inizio Arthur da protagonista diventa a stento una comparsa, patetico a volte nel suo cercare di essere “nel giro” senza mai riuscirci veramente, ma bravo nell’esprimere la vera essenza di quei tempi. Tutti forse erano un po’ Arthur. Bravissimo comunque
Christian Bale.
Non da meno è di certo
Jonathan Rhys Meyers. Perfetto nella parte ambigua e affascinante del genio osannato e sfruttato da pubblico e media. Diventa un’icona, e ne paga le conseguenze. Il personaggio di Brian Slade si rifà sicuramente a cantanti della scena rock anni '70, come David Bowie o il Freddie Mercury degli inizi, ma alla fine lui acquista una storia e un destino tutti suoi.
Menzione anche per
Ewan McGregor, perfetto nella parte tormentata del cantante rock un po’ pazzoide, senza capo, né coda, quasi senza talento (se non fosse per quella chitarra) e con la triste storia di violenza e elettroshock alle spalle. Una figura quasi disturbante con i suoi modi di fare, che non si riesce mai a comprendere del tutto. Parla poco e si muove tanto.
Da segnalare infine la partecipazione, sia nella colonna sonora che nel film, dei Placebo.
Insomma un film da vedere. Per chi ama il genere e non. E con una colonna sonora di tutto rispetto.
Il video di Ladytron (bellissima)